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ROMA, 29 GIU – ”Buon viaggio papa’ ”. Cosi’ Carlo Verdone, in lacrime, ha chiuso il suo discorso in memoria del padre Mario oggi pomeriggio a Roma. Un discorso breve il suo, pieno di commozione, nella chiesa di S.Maria Sopra Minerva strapiena di gente del cinema, da Pupi Avati a Aurelio De Laurentiis, e ovviamente dei parenti dello storico del cinema morto a 92 anni, dai figli Luca e Silvia al genero Christian De Sica e ai molti nipoti. In chiesa anche Walter Veltroni accompagnato da una delle figlie.
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Sembra quasi che abbiano voluto resistere, fino a poter salutare le celebrazioni per il centenario del Futurismo. Personaggi a vario titolo legati profondamente all’avanguardia tutta italiana, che vengono a mancare proprio nell’anno che li vede sotto i riflettori. È successo qualche giorno fa con Luce Marinetti, figlia del fondatore del movimento Filippo Tommaso Marinetti, morta a Roma dove era nata con le sorelle Ala e Vittoria, in quella casa di Piazza Adriana che era stata per anni la vera sede del Futurismo.
E sempre a Roma è morto oggi all’età di 92 anni Mario Verdone, padre dell’attore e regista Carlo, intellettuale dai vastissimi interessi, scrittore, saggista e critico cinematografico, conosciuto internazionalmente anche come studioso e divulgatore del movimento marinettiano. Due sue opere, Diario Parafuturista e Il Movimento Futurista, erano state presentate nella Capitale proprio in occasione del centenario del Futurismo. Il suo incontro con il movimento risaliva alla sua giovinezza, quando come cronista di un giornale di provincia, ebbe modo di incontrare proprio Marinetti; un documentario televisivo a lui recentemente dedicato recava il significativo titolo “Mario Verdone, detective del futurismo”.
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Addio Mario Verdone, critico e poeta
Il papà dell’attore aveva 92 anni
È scomparso a Roma, all’età di 92 anni, Mario Verdone, studioso, critico cinematografico e intellettuale. Verdone soffriva da tempo di un male incurabile. «La scomparsa di Mario Verdone – dice l’assessore alle Politiche Culturali del Comune di Roma Umberto Croppi – segna una data davvero triste per la nostra Città e per il Paese. Studioso di grande acume, applicò alla storia e alla critica del cinema, materia di cui divenne primo docente nell’ambito dell’Accademia italiana, la grande apertura intellettuale e l’ampio orizzonte speculativo che gli erano propri, licenziando volumi e saggi che resteranno delle vere e proprie perle del settore».
Esperto insuperato di cinema neorealista, diresse il Centro Sperimentale di Cinematografia nell’epoca di massimo prestigio dell’Istituzione: quando il Maestro Roberto Rossellini ne era Presidente. Fece anche parte di quella ristrettissima élite chiamata ad assegnare i premi Oscar. Il suo temperamento raffinato ed eclettico si esprime anche nel campo della poesia, della lirica, della pittura e della critica d’arte, mai celando la sua specifica passione per il movimento futurista, di cui fu apprezzatissimo conoscitore e collezionista di opere. Membro della Commissione Toponomastica del Comune di Roma, non lesinò mai il suo sapiente contributo di erudizione, partecipando alla vita culturale della nostra Città con amore e con competenza.
«Il nostro rimpianto – conclude Croppi – è oggi ancora più struggente nel ricordo della bellissima presentazione, avvenuta in Campidoglio nello scorso marzo, del suo ultimo libro Cacciatore di immagini. All’evento parteciparono anche i suoi figli, a cui vanno le mie condoglianze più sincere
Allora professore si ricorda come andò?»
Il professore ha 92 anni e mi fa: «So’ solo un po’ sordo ma ancora ricordo bene. La storia fu questa. Andò che gli feci la prima domanda» attacca il professore. «E lui niente… non mi rispose ». Quel giorno gli esami si svolsero in una sala dove c’erano molti studenti che attendevano il loro turno d’interrogazione. «Allora mi dica questo… e lui di nuovo niente!». L’interrogato faceva scena muta. La materia trattava di cinema e l’aveva introdotta il professore stesso per la prima volta nell’università italiana. A quel punto il docente prese la sua decisione: «Guardi» gli dissi, «è meglio che torni ad ottobre. A quel punto lui ha fatto: “Papà, ma mi bocci?”. Ed io: “Mi dia del lei. Ora vada”. E si alzò! E con lui so’ andati via tutti gli studenti perché hanno pensato “se boccia il figlio boccerà pure noi”. E così rimasi solo nella stanza».
Chi ricorda l’episodio è Mario Verdone, professore emerito di Storia e critica del cinema. E lo studente bocciato è il figlio Carlo Verdone. Erano gli anni Settanta. E così andò l’esame di Carlo Verdone, di colui che un giorno sarebbe diventato uno dei più bravi attori del cinema italiano. Da tutti definito come l’erede di Alberto Sordi. Ma figlio del professore universitario Mario Verdone, padre incorruttibile. Già perché la sera prima dell’esame, il giovane Carlo disse al padre: «Papà, mi raccomando: Bergman e Fellini». Implacabile il padre-professore-integerrimo lo interrogò su un autore tedesco. E lo mandò via. Non precisamente quel che accade nel mondo di “Parentopoli” dove i padri adottano accademicamente i figli per tutta la vita. Mettendoseli accanto, nello stesso dipartimento, nella stanza a fianco alla propria, oppure nello stesso corridoio o addirittura col telefono sulla loro stessa scrivania. Il professore Mario Verdone l’unico posto dove si metteva accanto il figlio era al cinema. Quando Carlo era un bambino andavano a vedere i film con Jerry Lewis. Entrambi amavano anche quelli western. «Al momento di una sparatoria, mio padre – racconta Carlo Verdone – si alzava sempre e iniziava a sparare. Dopo due volte, cambiai posto. Lui cercava di comunicarmi qualcosa, ma “nun ce capivo nulla!”».
Professore lei cosa ne pensa di “Parentopoli”?
«È deplorevole. Ma non ci sono solo i professori. Accade anche nel Parlamento. È una maniera scorretta che io non approvo».
Ma poi come andò a finire l’esame di suo figlio?
«Finì che ad ottobre gli feci fare l’esame da un’altra professoressa. La signora Evelina Tarroni. Lei fu soddisfatta e lo promosse. Io mi misi da parte perché mi seccava di tornare sull’argomento. E quel giorno non mi presentai in università».
E quando vi rivedeste la sera a casa?
«La prima volta dopo la bocciatura riconobbe che a quelle domande non aveva risposto. La seconda volta, ormai vittorioso, mi disse: “Sai papà, sono stato promosso”. Bene, son contento, gli risposi. Si vede che ti sei preparato bene stavolta».
Ma come mai disse a Carlo mi dia del “lei”?
«Così per mettere delle distanze. Non è che io so’ padre e ti dico vieni e ti do diciotto. No, mi dia del “lei”: una distanza. Non si può fare tutto in amicizia».
Nino Luca corriere.it e la stampa.it